Domande frequenti

Sulla professione dello psicologo esistono molte convinzioni erronee o imprecise, preconcetti, stereotipi e dubbi . Vediamone alcuni, allo scopo di far chiarezza e comprendere meglio questa figura professionale.

1. Dallo psicologo ci vanno i matti?

La paura di essere considerati matti se si va dallo psicologo è largamente diffusa nella nostra società. Forse  ciò perché si tende ad associare la figura dello psicologo alla malattia mentale grave: in realtà non è così!
A prescindere dal fatto che anche sul termine pazzia ci sarebbe da discutere molto, chi si rivolge allo psicologo è colui o colei che si trova ad affrontare una situazione di particolare disagio, percepisce sintomi che interferiscono con la propria vita, capisce di aver bisogno di una mano per attraversare una situazione difficile per sé o per chi gli è caro.
A chi non è mai capitato di trovarsi in situazioni di crisi, di stallo e di forte disagio o eventi di grande cambiamento come un matrimonio, la nascita di un figlio, il passaggio delicato dall’università al mondo del lavoro, la rottura di una relazione o un lutto. In queste possibili situazioni le risorse di una persona possono risultare insufficienti e portare al sorgere di sintomi come ansia, fobie, depressione, attacchi di panico e così via. Questo però non vuol dire essere pazzi o malati, ma può essere il risultato di risorse e mezzi insufficienti ad affrontare certe situazioni.
Se la paura di essere etichettati come pazzi o “non normali” è diffusa, lo è altrettanto quella di essere considerati deboli, in quanto incapaci di risolvere da soli i propri problemi.

Riflettiamo su questo punto con  un esempio:
Se mi fa male un dente posso scegliere due strade: andare subito dal dentista o tenere duro. I risultati sono due: nel primo caso il dente verrà riparato in maniera pressoché ottimale, nel secondo caso peggiorerà con esiti facilmente immaginabili.
Per quanto diversi siano il lavoro del dentista e dello psicologo, con quest’ultimo succede la stessa cosa.
Spesso il disagio che proviamo è una sorta di campanello d’allarme per avvisarci che qualcosa del nostro mondo interno (o relazionale) non va. Se ignoriamo questo campanello d’allarme, credendo di potercela fare da soli, le cose non miglioreranno di certo.
Questo non significa che per ogni minima difficoltà ci sia da ricorrere allo psicologo (se ho una piccola infiammazione a una gengiva non vado dal dentista, prendo un colluttorio adatto e passa).
Ma quando la problematica interferisce fortemente con la nostra vita quotidiana è necessario un punto di vista esterno, dotato di quegli strumenti e competenze in grado di aiutarci a ritrovare dentro di noi le risorse per affrontare e superare le nostre difficoltà.

Quindi, per concludere, chi si rivolge allo psicologo non è né matto, né debole: è solo una persona in grado di riconoscere il fatto di aver bisogno di una mano, che è disposta ad accettare dalla vita una grande sfida, quella del cambiamento.

2. Perché andare dallo psicologo quando posso parlare con un amico?

Avere amici che ci confortano nelle difficoltà è sano e necessario; di conseguenza raccontare i nostri problemi ad un estraneo ci può sembrare strano o difficile, mentre la confidenza ad un amico sembra naturale e immediata, ma è anche qualcosa di completamente diverso dall’intervento di un professionista della salute mentale. Talvolta l’intimità dell’amicizia è di per sé un ostacolo alla comunicazione di eventuali pensieri ricorrenti che ci sembrano stravaganti o di cui ci vergogniamo. Il nostro amico potrebbe parlare con un altro e, ancorché fossimo convinti della sua lealtà assoluta, potremmo essere imbarazzati di ciò che abbiamo raccontato. Lo psicologo è un professionista che sa quanto alcuni pensieri o preoccupazioni, all’apparenza irragionevoli, possano essere disturbanti nella vita di una persona e non giudica ciò che raccontate.

Un’altra considerazione: quante volte ci siamo sentiti a disagio di fronte ad un amico che ci confidava una sua preoccupazione, e abbiamo deciso di non dirgli ciò che pensavamo veramente per non ferirlo? Lo psicologo, pur sintonizzandosi emotivamente con chi ha davanti, ha la capacità di distanziarsi e può offrire al paziente un punto di vista nuovo su ciò che egli vive. Inoltre un amico difficilmente potrà aiutarci a superare una patologia psicologica. Lo psicologo, al contrario, ha a disposizione i mezzi e le tecniche per avviare processi di cambiamento.

3. E se poi mi prescrive dei farmaci?

Lo psicologo non è un medico, pertanto non può prescrivere farmaci, nè tantomeno consigliarli. Qualora vi fossero dei casi in cui ritiene opportuno arginare il sintomo, sarà sua premura inviare il cliente ad un medico psichiatra, dopo averne discusso insieme.

4. Che differenza c’è tra Psicologo, Psicoterapeuta e Psichiatra?

Lo Psicologo è colui che ha conseguito una laurea in psicologia, ha effettuato un tirocinio di un anno per poter sostenere l’Esame di Stato e iscriversi quindi all’Albo degli Psicologi. Può occuparsi di molteplici settori (clinica, scuola, sport, lavoro, comunità, ambito giuridico, ecc). Lo psicologo che esercita una professione con finalità sanitarie si occupa di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione oltre alle attività di ricerca e didattica nell’ambito della psicologia; lo psicologo effettua colloqui di sostegno e può effettuare valutazioni tramite la somministrazione di appositi test.

Lo Psicoterapeuta è il professionista psicologo, o anche medico, che dopo la laurea in Psicologia e l’iscrizione all’Albo Nazionale degli Psicologi, ha conseguito una specifica formazione professionale di durata almeno quadriennale, presso scuole pubbliche o private riconosciute dal M.I.U.R. Tale formazione consente l’acquisizione di approfondite metodologie per il trattamento delle patologie in ambito psicologico. Negli anni sono stati sviluppati al riguardo diversi orientamenti teorici e di intervento che utilizzano strumenti di cura in parte differenziati per affrontare i diversi disturbi nella loro specificità.

Lo Psichiatra è un medico, e perciò laureato in medicina e chirurgia, che ha poi conseguito la specializzazione in psichiatria. Questo fa sì che abbia una preparazione dettagliata sugli aspetti biologici delle patologie psichiche e che, in quanto laureato in medicina, possa somministrare farmaci.

5. Andare dallo psicologo richiede tempi molto lunghi?

La risposta è dipende!Solitamente le sedute sono di 50-60 minuti e, in base alla tematica da affrontare, psicologo e cliente decidono insieme come proseguire in base agli obiettivi e alla disponibilità di entrambi. Niente viene imposto ma tutto è concordato.

6. Lo Psicologo può raccontare, ad esempio a parenti e amici, ciò che gli dirò o che vado da lui?

Lo Psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Egli non può rivelare a nessuno notizie, fatti o informazioni apprese dal paziente nel rapporto professionale con lui, neanche può informare alcuno circa le prestazioni professionali effettuate o programmate. Ciò vuol dire che non può dare nessuna informazione – neanche a eventuali familiari o amici che dovessero contattarlo – sia su ciò che il paziente gli dice, sia sul fatto che quella persona è o è stato un suo paziente.

7. Sono già stato da uno psicologo e non mi sono sentito capito, perchè riprovarci?

Può capitare che tra cliente e psicologo non si instauri un legame di fiducia dovuto a svariati motivi. Questo però non deve far pensare che debba succedere con tutti la stessa cosa proprio perché, oltre al fatto che sono persone diverse, possono avere formazioni e specializzazioni diverse. Facciamo un esempio un pò provocatorio: se proviamo dolore ad un dente e non ci troviamo bene con un dentista, non decidiamo di rimanere col mal di denti, ma cerchiamo finché troviamo il professionista che fa al caso nostro!

8. E se lo psicologo manipolasse la mia mente?

Questo pensiero nasce dal timore che, in un momento di difficoltà in cui ci si sente vulnerabili e sembra che le certezze crollino, qualcuno possa approfittare della nostra passeggera debolezza per agire contro la nostra volontà. Può succedere che in periodi difficili si sia portati ad affidarsi alle parole e alle cure di qualcuno. Lo psicologo però non ha l’intento di manipolare né di sottomettere la volontà dei suoi pazienti. E’ indispensabile però rivolgersi a professionisti della salute mentale regolarmente iscritti all’Ordine degli Psicologi e che abbiano i titoli e le competenze per esercitare questo mestiere. Bisogna diffidare da chi propone risultati miracolosi in tempi brevi e da chi desta in noi sospetti. Eventualmente ci si può rivolgere agli ordini professionali della propria regione per ottenere maggiori informazioni.

9. Posso cercare il mio problema su internet?

Internet è una fonte inesauribile di informazioni e opinioni di altri. Troppo. Si rischia solo di sentirsi confusi e affollati da troppe nozioni che aprono sempre più domande e danno contemporaneamente l’illusione che cercando meglio si arrivi a una verità assoluta. Il fatto è che nessuna conoscenza teorica in ambito psicologico ha il potere di “curare”, se non è affiancata a una vera e sana relazione terapeutica, vero motore di cambiamento specifico.

10. Si può diventare amici o intimi con lo Psicologo con cui si ha un rapporto professionale?

L’oggetto delle prestazioni psicologiche è il benessere della persona che chiede aiuto o cura. Questo è possibile se tra Psicologo e paziente vi è una adeguata distanza emotiva che consenta allo Psicologo di rimanere obiettivo e teso al dare, senza la tentazione di tutelare interessi sentimentali e sessuali propri o di altri che non siano la persona che sta aiutando. La distanza emotiva, infatti, è resa possibile anche dal fatto che lo Psicologo non sia coinvolto in rapporti affettivo-sentimentali o sessuali non solo con il paziente, ma anche con suoi familiari e amici, poiché tali rapporti possono generare, anche inconsciamente, confusione di ruoli e nuocere al rapporto professionale. Per questo lo psicologo ha il dovere di evitare commistioni tra ruolo professionale e vita privata.

11. Lo Psicologo può decidere di interrompere il rapporto professionale?

Lo Psicologo ha il dovere di proporre al cliente l’interruzione del rapporto professionale quando constata che egli non trae alcun beneficio dalle sue prestazioni e valuta ragionevolmente che non ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Tale interruzione è una proposta che normalmente è auspicabile che sia discussa e decisa insieme.
In questi casi il cliente può chiedere allo psicologo informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi

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